A Reggio Calabria si torna a parlare di etica pubblica e coerenza politica dopo la proposta del consigliere comunale Filippo Quartuccio di istituire una commissione per il contrasto all’odio.
Un’iniziativa che, almeno nelle intenzioni, vorrebbe favorire il dialogo e limitare l’utilizzo di linguaggi violenti o discriminatori nel dibattito pubblico. Tuttavia, la notizia ha sollevato più di un interrogativo sulla credibilità del promotore.
Il consigliere Quartuccio, infatti, ha patteggiato una pena per il caso delle firme false relative alla lista “Liberi di ricominciare – Guarna Sindaco”. Con quel patteggiamento — che comporta l’ammissione di responsabilità — Quartuccio ha evitato il processo, ma l’episodio rimane un precedente rilevante nella sua storia politica.
Alla luce di ciò, molti cittadini si domandano se sia opportuno che proprio chi è stato coinvolto in una vicenda giudiziaria di questo tipo si erga oggi a paladino della correttezza morale e del rispetto reciproco.
Non si tratta di negare il diritto alla riabilitazione o alla partecipazione politica, ma di riflettere su un principio fondamentale: la coerenza tra ciò che si predica e ciò che si è disposti a praticare.
Una commissione contro l’odio, se impostata male, rischia inoltre di trasformarsi in un strumento di censura, soprattutto se non distingue tra linguaggio d’odio e libertà di opinione.
Dire, ad esempio, di essere contrari all’immigrazione illegale o di avere opinioni diverse su temi sociali non può essere considerato automaticamente “odio”. In una democrazia sana, la diversità di pensiero deve restare garantita, così come il rispetto per le persone.
Forse, prima di istituire nuove commissioni o codici morali, la politica reggina dovrebbe guardarsi dentro e chiedersi se la credibilità di chi propone certe iniziative non sia il primo passo per contrastare davvero l’odio e la sfiducia dei cittadini.
